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Museo dell'intreccio mediterraneo di Castelsardo

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Stuoie, tetti e funi

Stuoie e tetti

Fra gli intrecci maschili di più alta maestria trovano collocazione le costruzioni in canna, materiale vegetale dalle ottime caratteristiche fisiche (flessibile, resistente e leggero) atte a soddisfare i diversi utilizzi. Il reperimento e la lavorazione del vegetale sono eseguiti dagli uomini tra gennaio e febbraio, in base alle rigorose leggi lunari. È infatti in tale periodo che la canna raggiunge la giusta maturazione, conservando inalterate tutte le sue qualità morfologiche. Dopo il taglio, il vegetale veniva ripulito, accorpato in fasci e sfruttato per le proprie attività lavorative o condotto alla commercializzazione (soprattutto edilizia come incannicciati e coperture di fabbricati, oggi per restauro di vecchi edifici o strutture di bioedilizia). La tessitura delle canne era realizzata con un cordino di giunco ritorto, essiccato e accorpato in mazzi per renderlo facilmente sfruttabile durante l’intreccio. Il cordino si fissava ad una canna principale, canna maista, che guidava e si ancorava alle altre tramite incrocio o annodatura.

Attenzione particolare nell’arte dell’intrecciare la canna merita la realizzazione di stuoie da copertura dei tetti, costituita con ordito verticale e trama orizzontale, tipiche del Campidano di Oristano. Le stuoie venivano realizzate su commissione e prevedevano l’intreccio di canne secche e schiacciate, incrociate su se stesse per tutta la lunghezza, fino a formare un rettangolo. Nell’abitazione la copertura non era adoperata in tutti gli ambienti della casa ma era riservata alla camera da letto padronale. Con le stuoie si realizzavano soppalchi che permettevano di recuperare vani della casa altrimenti aperti;  come parti divisorie o per isolare una scalinata. La struttura delle stuoie era altresì utile per la costruzione di silos, atti a contenere il grano o altri cereali ammassati; come copertura di carri e come giaciglio  favorevole ai cambiamenti climatici (fresco in estate e isolante dall’umidità d’inverno). Quest’ultimo utilizzo diveniva prezioso durante la partecipazione a eventi e pellegrinaggi religiosi, per il riposo notturno; e altresì indispensabile ai pescatori che trascorrevano gran tempo in mare, a protezione dall’umidità e dalla salsedine marina.

Funi

L’arte dell’intreccio per la realizzazione delle comuni corde da lavoro era pratica comune in tutta la Sardegna e coinvolgeva la manodopera femminile, maschile e talvolta anche quella infantile. La fibra utilizzata per l’intreccio variava a seconda della zona geografica di realizzazione e della funzione d’uso delle stesse: funi in cuoio, robuste e pesanti per domare il bestiame, nell’interno isolano; corde in crine di cavallo per differenti esigenze di utilizzo nelle  aree agricole e costiere; funi in fibra vegetale, giunco, palma nana, fieno marino etc, per attività legate ai lavori agricoli e dediti alla pesca. Nel Nord Sardegna si utilizzava prevalentemente la fibra della palma nana mentre nel resto dell’Isola predomina il giunco. Rientrano nell’intreccio delle funi anche: legamenti di fascine, tracolle e manici per contenitori, cinture, ancoraggi di nasse.

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