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Museo dell'intreccio mediterraneo di Castelsardo

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Corbule, tra cultura e leggende

Sono manufatti di forma troncoconica, concavi con parete alta, rettilinea o curvilinea. La base è generalmente stretta rispetto all’orlo, rialzata da un fondello realizzato su una o due spire, oppure piatta in quelli che presentano l’orditura in steli di asfodelo.

Le dimensioni variano a seconda delle necessità d’uso dei tempi passati, poiché queste erano atte a rappresentare l’unità di misura per il grano e i suoi derivati.

 

La tessitura è realizzata con la tecnica a spirale a punto fisso eseguita con punzone metallico (auggia nel territorio di Castelsardo) o in osso ricavato dallo stinco di animale.

Le spire sono ottenute utilizzando culmi di grano, giunchi e steli di asfodelo precedentemente raccolti, vagliati, ripuliti, essiccati e solo al momento dell’utilizzo reidratati con acqua, che costituiscono lo scheletro-orditura del manufatto.

 

In alcune zone geografiche della Sardegna le corbule si caratterizzano per decorazioni con le fibre colorate e motivi tono su tono, ottenuti grazie alla cromatura dei materiali.

 

Sino alla fine degli anni ’50 le corbule costituivano parte fondamentale del corredo-dote nuziale di una donna, in una batteria di contenitori composta da tre canestri (chirrigu, chirrigheddu, canistedda) e tre corbule (sa crobe manna, sa crobe, sa crobischedda), (in castellanese caneltru, caneltredda, colbula, colbuladi siatza). Queste si univano alle altre due batterie di contenitori, “strexiu ‘e fenu” o “scrarìa”, “paneri” in castellanese, , contenenti crivelli e cestini, strumenti indispensabili per la preparazione del grano e della farina.

 

L’arte dell’intreccio delle corbule nella cultura sarda si lega a curiosi aneddoti, non leggendari ma realmente accaduti, entrati ormai a far parte della letteratura artigianale e storica dell’Isola.

 

  • Il fenomeno denominato Piccioccus de Crobi (ragazzi della cesta) è databile tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 nella città di Cagliari. Questi erano ragazzini di età adolescenziale o preadolescenziale, spesso orfani e abbandonati a se stessi nelle vie della città. Girovagavano per le vie di Cagliari scalzi, mal vestiti e denutriti; trascorrevano le notti sotto i portici o nelle grotte, coperti da giornali e cartoni; e durante il giorno vagavano nelle viuzze tra il porto, la stazione e il mercato cittadino con una grande cesta (sa crobisa corbula appunto), in attesa che le signore della borghesia cittadina, affidassero loro umili lavoretti di facchinaggio in cambio di poche monete di ricompensa.

Ai Piccioccus de Crobi è legata la vita di Suor Giuseppina Nicoli (1863-1924), beatificata a Cagliari il 4 febbraio 2008, che si interessò della cura, istruzione ed educazione di questi ragazzini di strada.

 

In alcuni centri della Sardegna, fino agli anni ‘60 e ‘70, i regali di nozze venivano portati direttamente a casa degli sposi dentro alle corbule, come segno di abbondanza e quindi di buon auspicio per la coppia. Curioso anche il ruolo della corbula in occasione del lutto, quando alla famiglia del defunto, racchiusa in religiosa preghiera e a riposo dalle attività quotidiane della casa, veniva offerto il cibo per il pasto diurno o serale, “Su pratu” (“Anacunoltu” in castellanese,) dentro ad una corbula. Questa veniva immediatamente capovolta dopo il suo utilizzo e, trascorsi 8 giorni dalla ricezione, la corbula veniva restituita completamente vuota del contenuto alla famiglia che aveva elargito l’offerta.

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