Sono manufatti di forma troncoconica, concavi con parete alta, rettilinea o curvilinea. La base è generalmente stretta rispetto all’orlo, rialzata da un fondello realizzato su una o due spire, oppure piatta in quelli che presentano l’orditura in steli di asfodelo.
Le dimensioni variano a seconda delle necessità d’uso dei tempi passati, poiché queste erano atte a rappresentare l’unità di misura per il grano e i suoi derivati.
La tessitura è realizzata con la tecnica a spirale a punto fisso eseguita con punzone metallico (auggia nel territorio di Castelsardo) o in osso ricavato dallo stinco di animale.
Le spire sono ottenute utilizzando culmi di grano, giunchi e steli di asfodelo precedentemente raccolti, vagliati, ripuliti, essiccati e solo al momento dell’utilizzo reidratati con acqua, che costituiscono lo scheletro-orditura del manufatto.
In alcune zone geografiche della Sardegna le corbule si caratterizzano per decorazioni con le fibre colorate e motivi tono su tono, ottenuti grazie alla cromatura dei materiali.
Sino alla fine degli anni ’50 le corbule costituivano parte fondamentale del corredo-dote nuziale di una donna, in una batteria di contenitori composta da tre canestri (chirrigu, chirrigheddu, canistedda) e tre corbule (sa crobe manna, sa crobe, sa crobischedda), (in castellanese caneltru, caneltredda, colbula, colbuladi siatza). Queste si univano alle altre due batterie di contenitori, “strexiu ‘e fenu” o “scrarìa”, “paneri” in castellanese, , contenenti crivelli e cestini, strumenti indispensabili per la preparazione del grano e della farina.
L’arte dell’intreccio delle corbule nella cultura sarda si lega a curiosi aneddoti, non leggendari ma realmente accaduti, entrati ormai a far parte della letteratura artigianale e storica dell’Isola.
Ai Piccioccus de Crobi è legata la vita di Suor Giuseppina Nicoli (1863-1924), beatificata a Cagliari il 4 febbraio 2008, che si interessò della cura, istruzione ed educazione di questi ragazzini di strada.
In alcuni centri della Sardegna, fino agli anni ‘60 e ‘70, i regali di nozze venivano portati direttamente a casa degli sposi dentro alle corbule, come segno di abbondanza e quindi di buon auspicio per la coppia. Curioso anche il ruolo della corbula in occasione del lutto, quando alla famiglia del defunto, racchiusa in religiosa preghiera e a riposo dalle attività quotidiane della casa, veniva offerto il cibo per il pasto diurno o serale, “Su pratu” (“Anacunoltu” in castellanese,) dentro ad una corbula. Questa veniva immediatamente capovolta dopo il suo utilizzo e, trascorsi 8 giorni dalla ricezione, la corbula veniva restituita completamente vuota del contenuto alla famiglia che aveva elargito l’offerta.